SCHERMI MAGAZINE

CONTATTACI
SOCIAL
E-MAIL

Italia


instagram

schermimagazine@libero.it

SCHERMI MAGAZINE

© Schermi Magazine

Il mestiere più antico del mondo

2024-03-17 20:17

Array() no author 82619

Il Giornale dell’Attore,

Il mestiere più antico del mondo

[Il Giornale dell’Attore]

IL GIORNALE DELL’ATTORE
di Alessandro De Filippis




Cos'è l'attore? Cosa significa recitare, salire su un palco, stare davanti la macchina da presa? Queste domande rimbombano nella mia testa sin da quando, ormai più di dieci anni fa, calcai per la prima volta quelle assi di legno che tanto amiamo, noi che recitiamo. O giochiamo, come direbbe un anglosassone: già a partire da questo, si potrebbe delineare una linea di demarcazione tra quello che dovrebbe essere la recitazione e quel che invece è. Ma andiamo con ordine. Ne è passata di acqua sotto i ponti dai riti dionisiaci: il sacro, lo spirituale, il ritualismo sono usciti, praticamente del tutto, dalla sfera recitativa. Essa è stata definitivamente svuotata del suo senso originario, del legame che aveva con la divinità: il fattore catartico dovuto alla purificazione dell'animo attraverso la messinscena di un dramma a sfondo religioso/ritualistico è ormai svanito nel nulla, sostituito definitivamente dall'oro placcato delle più blasonate premiazioni artistiche. Ma questo è più che normale al giorno d'oggi: in una società nella quale la figura divina ha lasciato posto a miracolosi algoritmi, cosa ce ne facciamo di una rappresentazione religiosa? Da cosa dovremmo essere esorcizzati, noi peccatori? Dopotutto, non siamo più nel medioevo: lo spettatore di oggi, erudito e svezzato dalle strategie di marketing più becere che si siano mai viste, ha bisogno di azione, perversione, disobbedienza dai propri (millantati) principi morali. Con azione si intende rapidità, movimento, annullamento di ogni riflessione. Calci, pugni, salti, litigate al limite del realismo e sesso sfrenato (quasi sempre mal coreografato) e tutta quella serie di gesta che noi, comodamente seduti sulla poltrona di casa (sempre meno in sala) non ci sogneremmo mai di fare. In breve, il mestiere dell'attore è diventato quello dell'intercessore, ovvero di colui che può quel che noi non possiamo, e i pochi fortunati che riescono a trasformare in carriera la loro passione non possono sfuggire a questo diktat. Certo, esisteranno sempre film o spettacoli teatrali più impegnati, lenti e di spessore: ma è ormai certo che l'attore non può permettersi di svincolarsi dal comandamento unico nell'industria dello spettacolo: alleggerire la vita dello spettatore.
Eppure, la recitazione non è questo.


Di cosa ha bisogno un attore per recitare come si deve? Disponibilità, franchezza, sensibilità, predisposizione al sacrificio (di sé e di quasi tutto quel che c'è intorno: famiglia, amicizia, vacanze, hobby), capacità imprenditoriale e perseveranza (l'attitudine al rischio è una dote di cui nessun attore dovrebbe essere sprovvisto), amore per l'arte, capacità di riflessione e discernimento, forte empatia, sospensione del giudizio (soprattutto verso di sé!) e dell'incredulità, e una moltitudine di altri fattori che lo rendono molto più somigliante a uno scannato oltreuomo che ad altro. Chi non possedesse almeno tre quarti delle suddette qualità, potrebbe tranquillamente cercare di far altro nella vita (a meno che non faccia parte di quella sparuta frangia di persone che vantano, tra i contatti più ravvicinati che posseggono, amicizie con gente di cinema: in quel caso, possono tranquillamente fare a meno di ogni cosa). Ma per chi le possiede, invece, il discorso si fa interessante: anzitutto, si troverebbe di fronte alla più alta forma di espressione artistica mai inventata o sperimentata dall'uomo. Riproporre un intero organismo vitale è un compito pressoché impossibile: eppure, alcuni attori riescono a carpire l'essenza del personaggio che interpretano e, attraverso la loro carne, le loro ossa, i loro sentimenti, i loro tic, le loro posture e tutta una serie di sintetizzazioni studiate o improvvisate, a rendere vivo, estremamente vivo un carattere. Nessun'altra forma d'arte ha l'onere di riproporre la vita. Neanche il cinema, che fa della cattura del momento il suo fondamento principale. È proprio per questo che la recitazione occupa un ruolo così fondamentale nella nostra vita: dove altro potremmo vedere, infatti, un comportamento umano in determinate circostanze? Neanche le simulazioni computerizzate arriveranno mai a riprodurre, con tale grado di imprecisione, la nostra persona: ecco perché l'attore dovrebbe essere protetto con la stessa cura con la quale proteggiamo le creature in via d'estinzione.


Eppure continua ad essere fraintesa, questa pratica vecchia quanto il mondo. Secondo Marlon Brando recitare è un meccanismo di sopravvivenza: sfuggire alle prede o ai partner ingelositi, ma anche sapersi presentare bene a un colloquio è materia di recitazione, e su questo non gli si può assolutamente dar torto. Ma io credo che il ruolo della recitazione nel mondo dell'arte e, per esteso, nella vita di tutti i giorni, sia molto di più. Compito dell'attore è mostrare, non nascondere. Rendere palese una dinamica interna è compito quasi impossibile, specie se lo si affronta senza spirito avventuriero, scientifico, ludico. Ed eccoci al punto di partenza: to play è più di un verbo all'infinito, è un fondamento principale del nostro lavoro. Senza il divertimento scaturito dal gioco, senza la spensieratezza necessaria, senza quell'ormai perduta capacità di perdersi nei meandri dell'immaginazione, propria di un bambino, l'attore sarebbe solamente un ripetitore automatico. Questo non significa assolutamente che l'attore non debba affrontare la lavorazione con serietà o impegno, nient'affatto: potrebbe infatti, un gruppo di bambini, metter su un gioco senza impegnarcisi a fondo? Potrebbero forse credere davvero di essere, che so, uno zombie che insegue i poveri sventurati, senza aver assoluta fiducia in quel che sta facendo? Allo stesso modo, l'attore dovrà avere una spropositata fiducia nelle battute, nelle circostanze date, nel carattere dal quale deve essere necessariamente posseduto per esprimere al meglio le coordinate emotive/sensoriali del personaggio.


Approfondiremo in altri discorsi quel che penso sulla fiducia, sul farsi profetadell'attore e su tutti quei tools che utilizziamo quando siamo in scena. Il mestiere dell'attore ha ispirato numerosissimi saggi, approfondimenti, studi. Dai primi drammaturghi fino all'ultimo acting coach, la dottrina attoriale si è resa dipendente da analisi, ricerche, esplorazioni e sperimentazioni. Farlo attraverso studi teatrali, articoli, video, laboratori e saggi è diventato essenziale per l'accompagnamento dell'attore nel suo spericolato cammino artistico. Rendere queste ricerche open source è, tuttavia, prerogativa di pochi.
Io voglio essere uno di loro.



CONTATTACI
SOCIAL
E-MAIL

Italia


instagram

schermimagazine@libero.it

© Schermi Magazine