di Luca Caltagirone
In occasione del 1 maggio – Festa del lavoro –, ricordiamo alcuni film, dai tempi del muto sino al contemporaneo, che hanno raccontato l’aspetto più oscuro e crudele del lavoro: l’alienazione. Quel senso di automatismo, estraniamento, perdita di identità che nasce quando il lavoratore perde il controllo sul prodotto del suo lavoro, sul processo produttivo, sui suoi gesti e persino su sè stesso, divenendo un ingranaggio di un sistema che non governa né comprende. Nei “Manoscritti economico-filosofici”, Karl Marx dice: «Nel lavoro alienato l’uomo non appartiene più a sé stesso, ma al prodotto del suo lavoro».
È con grande dignità e forza espressiva che il cinema ha raccontato questa deriva del lavoro, mettendosi nei panni del lavoratore alienato e denunciando un sistema opprimente e soffocante. Dalla catena di montaggio del primo Novecento al lavoro seriale e silenzioso dell’era post-industriale, tre registi di epoca e nazionalità diversa hanno raccontato il tema dell’alienazione sul lavoro e delle sue tragiche conseguenze: “Tempi Moderni” di Charlie Chaplin, “La classe operaia va in paradiso” di Elio Petri e “La fiammiferaia” di Aki Kaurismäki.
La catena di montaggio fordista probabilmente rappresenta il picco supremo dell’alienazione umana: l’operaio deve lavorare il prodotto che gli viene trasportato da un nastro trasportatore e concentrarsi su un compito specifico, ripetitivo e, per questo, alienante. Il primo riferimento cinematografico che viene in mente è la prima straordinaria sequenza di “Tempi Moderni” di Charlie Chaplin, nella quale quest’ultimo interpreta un operaio schiacciato dai ritmi meccanici della catena di montaggio, costretto al movimento ossessivo di stringere i bulloni, finché il suo corpo non perde il controllo: il movimento ripetitivo diviene un automatismo incondizionato che il personaggio continua a ripetere anche fuori dalla fabbrica. Con un linguaggio semplice, universale e ironico, Chaplin offre una amarissima critica alla catena di montaggio fordista e taylorista, mettendone in luce gli aspetti più alienanti e disumanizzanti.
In Italia, a trentacinque anni da “Tempi Moderni”, esce “La classe operaia va in paradiso” di Elio Petri, un crudo ritratto del lavoro alienato dai toni cupi e tesi. Uno straordinario Gian Maria Volontè interpreta il protagonista Lulù, un operaio modello che, dopo essersi tagliato un dito alla macchina, prende coscienza politica e sociale della crudele realtà che lo circonda, portandolo a un crollo psicologico e in una spirale di frustrazione e impotenza. Petri immerge lo spettatore in una fabbrica
grigia e claustrofobica, dove si sentono solo i rumori metallici della pressa e le urla degli altri operai. Un non-luogo infernale in cui viene disintegrata la vita e l’identità personale del protagonista, che non ha altra vita al di fuori delle infinite ore di lavoro in fabbrica. Dice Lulù:«Io voglio essere un uomo libero, non un altro ingranaggio della macchina».
Se Chaplin raccontava il corpo che si ribella e Petri la mente che prende consapevolezza, Kaurismäki racconta la persona che si spegne. “La fiammiferaia”è una riflessione sulla solitudine e sull’alienazione, con il solito stile gelido e asciutto del regista finlandese. L’alienazione diventa normalità silenziosa e vuoto esistenziale, che coinvolgono ogni aspetto della vita di Iris, dalla famiglia, alle relazioni, sino al tempo libero. Kaurismäki denuncia la condizione di alienazione, povertà e marginalità delle classi subalterne che, come dimostra il finale del film, sono anche la causa delle azioni più estreme e scellerate.
Dal Novecento ad oggi, l’alienazione non è scomparsa. Ha solo, in parte, mutato le sue forme. Il cinema continua a mettere al centro delle sue narrazioni il lato più oscuro del lavoro: quando l’uomo viene disumanizzato dalla macchina e privato della sua identità. È quindi necessario continuare a parlare di questi temi e agire nel concreto per dare diritti e dignità alla classe lavoratrice, da secoli marginalizzata e sottoposta a violente dinamiche di potere.
Per l’occasione, ricordiamo che l’8 e il 9 giugno ci sarà un importante referendum abrogativo che mira a cancellare leggi che hanno indebolito alcune delle tutele e dei diritti più significativi della classe lavoratrice. Questa notizia, di fondamentale importante, non ha avuto la risonanza mediatica necessaria e il pericolo dell’astensionismo sembra essere più vivo che mai. Per questo, risulta necessario informare e mobilitarsi per provare a cambiare un sistema violento e pericoloso che ancor oggi si nutre di sfruttamento, di alienazione e di gravi abusi di potere.