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Il male non esiste

2024-07-04 14:08

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Il male non esiste

Il male non esiste di Ryüsuke Hamaguchi è un film che disloca lo sguardo dall'antropocentrismo distruttivo, spingendosi verso un antispecismo narrativo che as

Il male non esiste di Ryüsuke Hamaguci è un film che disloca lo sguardo dall'antropocentrismo distruttivo, spingendosi verso un antispecismo narrativo che asserisce l'insubordinazione dell'umano alle leggi della Natura.
di Giulia Gelain


Il film, vincitore del Leone d’argento alla 80a edizione della Mostra del cinema di Venezia, rappresenta una storia tanto lineare quanto indecifrabilmente crudele. Nasce da un progetto del regista con Eiko Ishibashi, compositrice della colonna sonora dell'opera precedente di Hamaguchi, Drive my Car (2021), che ha proposto di creare un film muto da accompagnamento a una sua performance musicale live. Da Gift, così li nome del cortometraggio all'incrocio con la video- arte, della durata iniziale di 18' e poi di 74', si è in seguito originato Il male non esiste (2023), che a tutti gli effetti fa della musica una componente imprescindibile, specialmente in apertura e in chiusura.



Altro fondamento del film è il folklore, sviluppato intorno a un paesino rurale e chiuso in se stesso, dove li tempo del presente sembra essere sospeso. Ryusuke Hamaguchi ha affermato, in un'intervista con Indie Wire, di aver appunto tratto ispirazione dalle storie folkloristiche, quelle che "raccontano qualcosa che non può essere detto esplicitamente", le cui tracce sono qui svelate in virtù della loro qualità di "mostrare qualcosa che sia complesso e non molto etico". Il regista aveva, non a caso, già girato un documentario sul tema, dal titolo Storytellers (2013), che esplorava le modalità di trasmissione orale dei miti nella z o n adel Töhoku, colpita dal devastante tsunami del 2011. L'elemento folkloristico emerge contestualmenteall'impianto dell'intera messa in scena, che assume i tratti di una fiaba cupa, trascinata fatalmente in direzione di una spirale nera, laddove le intenzioni e le motivazioni profonde dietro il finale non vengono mai espresse.



Fin dai primi cinque minuti de Il male non esiste viene stabilita la cifra contemplativa dell'intera pellicola, che riferisce proprio quella sensazionedi disgiunzione rispetto all'universo di Mizubiki, il villaggio dove vivono iprotagonisti, Takumi (HitoshiOmika) e la figlia Hana (Ryo Nishikawa). La macchina da presa è spesso statica, li movimento è fluido come quello di un animale che spii l'uomo tra le fronde degli alberi. E proprio guardando i rami, verso il cielo terso, si apre li film. L'essenzialità della fotografia e dei dialoghi dissimula una complessità sottostante la materia visiva, che allude a un sistema di vita oscuro allo spettatore: assistiamo alle vicende pur rimanendo sempre (degli) estranei. Ci viene mostrata la routine semplice di un padre e di una figlia, all'interno di una cittadina tranquilla, che è tale se non altro fino all'arrivo da Tokyo di Takahashi (Ryüji Kosaka) e Mayuzumi (Ayaka Shibutani), rappresentanti dell'azienda che vorrebbe fondare un glamping, ovvero un camping tradizionale unito a comodità glamour, in mezzo alla natura, andando ad intaccare l’ecosistema di Mizubiki. Durante l'incontro con la società Playmode, che dovrebbe essere volto a trovare un comune accordo che possa instaurare benefici per entrambe le parti, i cittadini locali palesano una forte diffidenza in riferimento alla proposta, sottolineando la mancata preparazione dei relatori e la poca eticità del glamping, che andrebbe anche a inquinare le loro acque di sorgente. L'intero piano, invero, non tiene affatto in considerazione iritmi e lo stile di vita degli umani e degli animali dell'area. Takashi e Mayuzumi non sono in grado di rispondere alle obiezioni loro rivolte: si scivola così in un clima di tensione. Anche il regista ha sottolineato come i suoi personaggi siano costruiti per essere insieme odiati e amati: proviamo ostilità nei confronti dei due invasori, ma pure un cenno di compassione per l'imbarazzo generato dalla loro incompetenza. lI progetto edilizio introduce un elemento di discontinuità all'interno di un organismo in equilibrio, innescando un declino verso la violenza e la morte.



Takumi diventerà consulente per il progetto: le lunghe conversazioni in macchina con Takashi e Mayuzumi, tipiche dei film di Hamaguchi, costituiscono il procedimento attraverso il quale informare lo spettatore dei pensieri (personali e non) dei personaggi. A dispetto di tali scene, il silenzio abissale della foresta permea il paesaggio tutt'intorno, andando a costituire una barriera inaccessibile all'essere umano inesperto, come lo sono i due dipendenti dell'azienda, che imparano dal protagonista li modo di agire dei cervi selvatici. Essi - viene riferito - generalmente non si avvicinano agli uomini e non sono aggressivi, a meno che la madre ferita con li suo cucciolo non si trovi in prossimità di un potenziale pericolo. Questa è la riflessione più importante dell'intero film. All'interno della comunità, dunque, si manifesta una sorta un virus che andrà a minare la stabilità del paese e soprattutto della vitadi Takumi: la contaminazione con l'Altro genera distruzione. La conferenza tenutasi con gli abitanti del villaggio è li primo sintomo di una perturbazione che culmina in uno sparo distante, in fuori campo, emblematico dell'indagine ontologica suggerita dal titolo stesso. Nessuno è al corrente del fautore del colpo di fucile: un'entità disincarnata che fa precipitare la situazione verso un punto di non ritorno. Un baratro buio che svela, parzialmente, quel male che si cela sotto un'apparente quiete. In Drive my car, ugualmente, uno sparo si pone come detonatore dell'ordine fino a quel momento egemone. L'obiettivo è lo sbigottimento dello spettatore dinanzi al repentino cambio di rotta sul finale, che lo lascia disorientato e pervaso di quesiti a riguardo, che non trovano risposte all'interno dell'azione filmica, la quale anzi si conclude lentamente come si era aperta, in forma circolare: guardando in alto attraverso i rami, mentre cala la notte.



Se il titolo professa una tesi, il contenuto del film la ribalta. Ci sono mostrati degli esiti che, senza risultare didascalici, nella loro crudezza, sospendono le nostre convinzioni sulla vicenda. La presenza della Natura e degli animali è quanto meno dominante nella composizione del film: possiamo parlare di antispecismo rispetto alla relazione che uomini e animali hanno rispetto al Male, aspetto comune a entrambi. L'umano soccombe dinanzi alle leggi della Natura, o forse ne fa parte in un rapporto conflittuale e dicotomico, le cui sfaccettature recondite sono impossibili da captare. Una sinfonia crudele di amore e odio, in bilico tra la pace e la guerra: una co-esistenza ai limiti. Fissata la sua esistenza, c'è da chiedersi che cosa sia, o chi sia li male: il glamping, l'uomo in genere, la natura? Tutti questi o nessuno? E poi, di chi è li respiro affannoso che udiamo nell'ultima scena? Possiamo solo ipotizzare. Domande che non hanno una risposta univoca, ma sulle quali ogni singolo spettatore può riflettere.




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