L’IPERBOLE DI UN’AMERICA GLAMOUR E DELIRANTE E se l’America di oggi fosse il cosiddetto Paese delle meraviglie di Lewis Carroll e Alice una giovane gen z dal fascino magnetico? Al suo esordio, il regista Sean Price Williams -direttore della fotografia dei fratelli Safdie- offre allo spettatore proprio una sorta di reimmaginazione del famoso viaggio letterario che, sul grande schermo, in questa sua reincarnazione indie e a tratti psichedelica, si mostra come un’opera sfrontata che prende di peso lo sguardo di chi guarda per inserirlo nel suo mondo. Si sta parlando di The Sweet East, un film presentato alla Quinzaine des Cinéastes del 76o Festival di Cannes nel 2023. A dare vita ai personaggi della sceneggiatura di Nick Pinkerton ci sono i volti di alcuni dei giovani attori più promettenti attualmente sul panorama cinematografico. Talia Ryder, apparsa già in Never Rarely Sometimes Always di Eliza Hittman e West Side Story di Spielberg, interpreta la protagonista Lilian, al suo fianco da una parte il già affermatissimo Jacob Elordi, dall’altra la co-star della serie The Bear, Ayo Edebiri. La storia di The Sweet East è semplice: l’adolescente Lilian, impegnata con la sua classe in una gita scolastica a Washington D.C., scappa via; questa decisione porta la ragazza a vagare, a interfacciarsi con svariate sfumature dell’America dell’East Coast in un tipo di narrazione che non perde tempo, che abolisce i tempi morti nel contenuto e nella forma. Sean Price Williams infatti si adegua perfettamente alla sceneggiatura di Nick Pinkerton costruendo un film che visivamente sta al passo di questa follia favolistica così sopra le righe. Una follia che, con il suo motivo del viaggio, si rifà un po’ a quel cinema dello sguardo che può essere presente, per esempio, in alcuni film del regista Dennis Hopper, come Easy Rider (1969) o Out of the blue (1980), pellicole dove questo sguardo è soprattutto uno sguardo sull’America, costruito tramite un processo che porta lo spettatore a identificarsi con il suo protagonista. The Sweet East si può ritrovare facilmente sulla scia di queste coordinate andando però, anche in questo caso, a proporre il tutto con una consapevolezza di sé che lo rende estremamente moderno. Lo sguardo che Sean Price WIlliams va a edificare è pop, filtrato da una patina glamour e camp, che, tramite la grana della pellicola 16mm, ammicca a tutta un’estetica quasi da social; l’occhio esistenziale di Hopper svanisce per lasciare posto a qualcosa che è invece totalmente ludico. Lilian è un avatar che, infatti, è padrone del mondo con cui si interfaccia, la ragazza è mossa dal suo desiderio di scoperta, dalla sua curiosità. Riesce a farsi valere sopra ogni agente esterno andando a utilizzare la sua stessa bellezza come arma per ammaliare e sedurre questo “paese delle meraviglie” che, come in una sgargiante sfilata, presenta mano a mano i suoi mondi popolati da personaggi ambigui, macchiette stereotipate di un’America che affoga in sé stessa risultando più vera che mai nel suo riprodursi in maniera caricaturale. La principessa di questo mondo -Lilian- coglie maliziosamente la buffoneria di questo circo e ci gioca, si intrattiene con alcune delle icone archetipe della cultura americana -come i due giovani artisti di New York, l’intellettuale di estrema destra o il gruppo di squatter disagiati- per restituire allo spettatore l’idea di star assistendo a un parade psichedelico di figure che esistono senza un vero e proprio motivo se non quello di ridicolizzare ogni mitizzazione dell’America. E ci riescono. I personaggi e i vari tableau così eccessivi di The Sweet East portano facilmente all’immersione e alla risata, dando la sensazione che, se volesse, il film di Sean Price Williams potrebbe durare letteralmente all’infinito continuando a offrire situazioni improbabili e fuori dagli schemi risultando completamente credibile ed è, questa, una delle cose più difficili da ottenere per una pellicola. Sean Price Williams e Nick Pinkerton riescono nell’impresa di confezionare un film che è tutto e il suo contrario: confusionario ma studiato, pacchiano ma elegante, sprovveduto eppure intelligente. Insomma una piccola gemma che fa della sua bellezza più grande il suo concepirsi fin dal principio come grezza.
di Joaldo N’Kombo