di Gianmarco Cavallaro Narrare di vicende riguardanti la natura, gli animali, l’uomo e le sue sfumature può sembrare un arduo compito per molti, ma non per quello straordinario genio dell’animazione qual è Isao Takahata. Dalla guerra all’economia, passando per la religione e la famiglia, Paku-san (come lo chiamava affettuosamente l’amico Hayao) ha saputo tessere con maestria una tela di storie realiste e allo stesso modo eteree, di una potenza dirompente. I suoi personaggi sebbene siano collocati in tempi precisi, lontani o recenti che siano, vivono situazioni, sentimenti ed emozioni che non hanno età, che sono ricorrenti nella storia dell’uomo. Un esempio azzeccato lo si può trovare in Pom Poko dove i tanuki, ribellandosi allo spossessamento dei loro terreni, lottano per un ideale comune, affinché si compi una rivoluzione. Oppure ci sono situazioni che sanno legare frontiere e paesi di tutto il mondo. Chi più della strampalata famiglia Yamada può avvalorare questa tesi: le piccole cose del quotidiano si possono presentare, particolarità a parte, in una casa giapponese, come in una italiana, come in una qualsiasi famiglia di una comunità contemporanea . Attraverso le scene delle sue pellicole è come se Isao Takahata volesse affermare che l’essere umano, seppur passi il tempo e seppur si cambi lingua e usanze, nella sua essenza più recondita è ed è sempre stato lo stesso. La prima conclusione lampante è quindi che prima di un grande artista c’era un grande umanista. Scendendo sul lato più tecnico, l’animatore originario della prefettura di Mie, è considerato da tutti un grande artista realista. Che siano vicende verosimili, o che sia realismo magico poco importa, e abbiamo appena illustrato il perché: sa penetrare nella natura umana e nella società come pochi. In aggiunta, Takahata ha sempre messo l’idea prima del botteghino sperimentando e andando controcorrente attraverso tematiche impegnate e tecniche innovative e inesplorate. La notevole capacità evocativa delle sue pellicole ha avuto modo (finalmente) di vedere le sale cinematografiche italiane con il ciclo di pellicole intitolato “Un mondo di sogni animati”: sono stati quindi proiettati i suoi ultimi quattro cortometraggi - Pioggia di Ricordi (1991), Pom Poko (1994), I miei vicini Yamada (1999) e La storia della Principessa Splendente (2013). Sono grandi pellicole, profonde e ricche di contenuto, perciò parlare esaurientemente di ognuna sarebbe irrispettoso nei confronti dell’animatore giapponese; pertanto l’obiettivo del seguito di questo articolo sarà quello di estrarre quello che potrebbe rappresentare un binomio chiave per la comprensione delle pellicole sopraelencate. Per completezza verrà compreso anche il capolavoro con cui Takahata esordì con lo Studio Ghibli, Una tomba per le lucciole (1988). Partiamo. Una tomba per le lucciole, guerra e fame. Con questo capolavoro (contemporaneo, tra l’altro, a un film diametralmente opposto quale Il mio vicino Totoro) Takahata eplora la tematica della guerra ma non lo fa direttamente, ma utilizzando una metodologia più fine seppur brutale: la illustra dagli occhi di due bambini, Setsuko e Seita, fratello e sorella rimasti orfani a causa della stessa guerra. Seppur la narrazione si concentri principalmente attorno alla loro vicenda, sullo sfondo Takahatasvolge vera e propria didattica della storia. A titolo di esempio si può considerare la scena dello sgancio delle bombe incendiarie da parte degli americani, oppure il patriottismo sfrenato diffuso allora in Giappone attraverso i gesti e le idee della zia dei bambini, devota alla causa imperiale. In particolare Takahata mostra la fame: i due bambini, infatti, dopo l’esperienza a casa della zia si trovano giorno per giorno a lottare per riempire lo stomaco. Attraverso la loro storia l’intento dell’autore era probabilmente quello di mostrare la povertà estrema che imperversava durante il conflitto bellico e in secondo luogo esplorare la condizione di un essere umano costretto a vivere di stenti, dimostrando ancora una volta quanto sia stato devoto a un realismo umanista che seppur poetico arrivava all’animo come un pugnale. Pioggia di ricordi, l’infanzia e il conoscere se stessi. Il film, tecnicamente onnipotente, anche grazie all’uso di due tecniche differenti per rappresentare il passato e il futuro, racconta la vicenda di una trentenne che per le vacanze estive decide di andare in campagna (ambiente a cui si è sempre sentita affine) per lavorare alla raccolta dei fiori di cartamo. Attraverso un uso maestrale del montaggio e di una tecnica narrativa coinvolgente e incalzante, scende negli abissi della memoria umana facendo riemergere i ricordi d’infanzia della protagonista: qui viene analizzato profondamente il periodo dell’infanzia, le sue dinamiche, le gioie e le difficoltà. Che sia il rossore dovuto allo sguardo del ragazzo che ti piace, che sia la vergogna a causa di un fenomeno allora ancora tabù quale il ciclo mestruale, o la difficoltà nel comprendere la divisione tra frazioni, Takahata delinea attraverso una narrazione nostalgica, la vita di un qualsiasi bambino giapponese. Per contrasto però, a poco a poco viene fatto emergere un dilemma “da grandi”. “E tu chi sei? Ma soprattutto cosa vuoi?” sembra echeggiare dalla mente di Taeko negli ultimi giorni in campagna, prima del ritorno alla sua vita a Tokio. Con un passo a due, Paku-san qui riesce a cucire assieme i pensieri adulti e piccini. Pom Poko, globalizzazione e tradizione. Questo film d’animazione, rocambolesca e grottesca immagine dell’uomo e della sua opera di egocentrismo, mira a fondere insieme due lati della società odierna tra loro lontanissimi, quello del progresso capitalista e quello della tradizione e del folklore. Il film, genito di per sé dal folklore nipponico che vede i tanuki (che noi chiameremmo cane procione) come animali dotati da millenni di poteri sovrannaturali quali il trasformismo, racconta della battaglia di questi animali per fermare le violenti trasformazioni paesaggistiche che all’inizio degli anni ’60 hanno coinvolto le aree naturali di Tama, collina nei pressi di Tokio. L’urbanizzazione corre inesorabile e al suo passaggio muta gli ambienti e riduce gli spazi destinati alla vegetazione e alla fauna locale. Su questo sfondo i tanuki, seppur ostili all’uomo e alla sua azione, sono palesemente una sua versione caricaturale: vivono vita di comunità, costituiscono forme di comando gerarchico e fanno comizi, fanno famiglia, sono politicamente impegnati oppure sono pigri, sono volubili. Soprattutto, ricordando che si sta parlando di una società orientale, questa è permeata dalla tradizione e dalla religione che nei paesi asiatici sono legate tra loro indissolubilmente. Memorabile e rappresentativa è la parata degli spettri a metà film, dove, attraverso l’uso dell’energia meditativa dei sommi saggi, la strategia finale dei tanuki è puntare sul lato vulnerabile degli umani, quale la loro psiche. Takahata servendosi dell’assurdo e del contrasto mira a farci visualizzare le contraddizioni della società moderna. I miei vicini Yamada, famiglia e quotidianità. Il film più leggero dell’artista nipponico ma non per questo il più semplice da comprendere a fondo. Attraverso uno stile di disegno essenziale e fanciullesco, IsaoTakahata crea le vicende quotidiane di una ordinaria famiglia giapponese, la famiglia Yamada. Attraverso un racconto antologico, Takahata si diverte a mettere in luce con un tono leggero e spiritoso, gran parte delle situazioni che possono accadere nella vita di tutti i giorni all’interno del nido familiare. Non c’è altro da dire, occorre solo guardarlo e divertirsi. La storia della Principessa Splendente, critica dei ceti aristocratici e libertà. Si tratta della sua firma finale, del suo congedo al mondo dell’animazione, del suo testamento artistico. Il film più costoso della storia dell’animazione giapponese fino ad allora, disegnato a mano frame per frame. La matrice dalla pellicola anche in questo caso deve i propri natali alla religione giapponese, ma poi cambia binario esplorando altri aspetti. Infatti, l’intento palpabile dalla visione del film è quello di mostrarci la durezza e la crudeltà della prassi dei ceti nobiliari più alti della società feudale nipponica. In secondo luogo, la seconda chiave per guardare il film è quella data dalla libertà (prima totale, poi mozzata di netto) e della predestinazione di molte figure che nella storia, hanno dovuto vestire panni che non appartenevano loro. A certo punto c’è un’analogia fondamentale, quello in cui Principessa riceve in regalo un uccellino in una gabbia fatta di rami. Ella, nata e cresciuta in natura, per situazioni e volontà a lei totalmente estranee, si ritrova a un certo punto rilegata a una vita che si pensava essere sua ma che non lo è affatto, come appunto quella del povero uccellino che da libero di librarsi nell’aria si ritrova rinchiuso in una gabbia. Questo lungometraggio però come i fratelli, ha molto molto di più, dalle musiche ai personaggi alla trama. Infine, come bonus, è corretto far caso alla protagonista per eccellenza delle vicende di Takahata: la natura. È abbastanza palese quanto l’artista (forse provando a far riemergere il Giappone in cui viveva da bambino o forse perché la natura e l’energia che la fa fluire è parte integrante del vivere del Sol Levante) ami il pianeta Terra, i suoi ecosistemi più ancestrali e le creature che li popolano. Gli alberi, i fiori, i frutti, il cielo, gli animali sono i soggetti di decine tra frame e intere scene. Significativo dell’importanza e della forza vitale data alla natura è un aspetto tratto da La Storia della Principessa Splendente. Avete notato che all’inizio del film la bambina, Gemma di Bambù, nata di per sé da una pianta di bambù e cresciuta a stretto contatto con la natura, cresceva a un ritmo proporzionale a essa? In armonia con il creato che germogliava e si sviluppava durante i mesi primaverili ed estivi? Immagino di sì perché il film stesso ne fa continuo riferimento. Però poi avete notato la battuta d’arresto nello sviluppo fisiologico della ragazza una volta costretta a vivere in città? Il suo corpo ha mantenuto il normale ritmo di crescita di un uomo normale, privandola del suo sincronismo con l’energia vitale della natura. Giungendo verso la conclusione, queste cinque considerazioni sintetiche e puntuali della cinematografia di Isao Takahata non vogliono conferire limitatezza alla sua stessa produzione ma piuttosto vuole mostrare quanto questo artista, abbia scavato a fondo nella psiche e nel comportamento dell’essere umano e della società in generale, arricchendo ulteriormente la narrazione con elementi magici, di gioco, o con situazioni buffe e affettuose. Quindi, che dire… “Arigatō Paku-San”.