di Luca Caltagirone “Teorema, come indica il titolo, si fonda su un’ipotesi per absurdum. Il quesito è questo: se una famiglia borghese venisse visitata da un giovane Dio, fosse Dioniso o Jehova, che cosa succederebbe?” Questa è la frase con la quale Pasolini presentava il suo sesto film nel 1968, nonché il suo più grande capolavoro, in cui è condensata l’essenza della sua poetica e del suo pensiero sociopolitico. Il film, come gran parte delle opere pasoliniane, fu inizialmente sequestrato dalla Procura “per oscenità e per le diverse scene di amplessi carnali alcune delle quali particolarmente lascive e libidinose e per i rapporti omosessuali tra un ospite e un membro della famiglia che lo ospitava”. Più di un mese dopo Pasolini e il produttore Donato Leoni saranno assolti dall’accusa di oscenità con la seguente sentenza: “Lo sconvolgimento che Teorema provoca non è affatto di tipo sessuale, è essenzialmente ideologico e mistico. Trattandosi incontestabilmente di un’opera d’arte, Teorema non può essere sospettato di oscenità”. Notiamo subito una sostanziale differenza nei soggetti e negli ambienti rispetto alla filmografia precedente: se nei primi film (“Accattone” e “Mamma Roma”) Pasolini aveva raccontato la vita del sottoproletariato romano, qui i protagonisti sono personaggi dell’alta borghesia milanese. In una lussuosa villa, la vita della famiglia di un industriale viene sconvolta dall’arrivo di un giovane ospite enigmatico, silenzioso ed affascinante, il quale passa le giornate leggendo oziosamente. Dopo aver sedotto e posseduto carnalmente ogni membro della famiglia, denudandoli della loro falsa responsabilità, improvvisamente li abbandona, facendoli sprofondare in una profonda crisi esistenziale. L’ospite, interpretato da un ottimo Terence Stamp, rappresenta l’autenticità e la sacralità del sentimento amoroso, capace di sconvolgere l’ordine e i valori borghesi, fondati sull’individualismo e sulla ricerca del profitto. Dopo che l’ospite abbandona la villa, l’intera famiglia, presa consapevolezza della falsità del proprio codice morale, cerca invano di liberarsene, facendo però prevalere pulsioni estreme e autodistruttive. La madre (Silvana Mangano) cerca incessantemente uomini con i quali avere un rapporto sessuale; la figlia Odetta si chiude in un mutismo selettivo, tanto da cadere in catatonia ed essere rinchiusa in un ospedale psichiatrico; il padre cede la proprietà della sua fabbrica agli operai e si denuda alla maniera francescana nella stazione ferroviaria; il figlio Pietro, presa coscienza della propria omosessualità, prova a sublimare l’assenza dell’ospite attraverso l’attività artistica. È interessante notare come quest’ultimo personaggio possa in qualche modo rappresentare l’alter-ego di Pasolini: entrambi borghesi, artisti e omosessuali. Dunque la ricerca della propria autenticità fallisce in ogni membro della famiglia. Il messaggio di Pasolini è chiaro: la classe borghese del tardo capitalismo non può liberarsi dei propri valori edonistici ed individualisti. Ma Pasolini offre un’ancora di salvezza: la domestica Emilia, interpretata dalla bravissima Laura Betti, poi premiata col premio Volpi. Emilia, dopo aver anch’essa posseduto carnalmente l’affascinante ospite, fa ritorno al suo paese di origini e alla sua vita campestre. Qui inizia a compiere miracoli ed è fatta oggetto di venerazione dai suoi compaesani. Sul finale, la donna si fa seppellire viva in un cantiere edile e dà inizio ad un pianto incessante: l’unica fonte di speranza per Pasolini è che le lacrime sante di una donna del sottoproletariato possano purificare i tristi e grigi palazzi borghesi. Emilia di fatti è l’unica che, in virtù della sua dimensione primordiale e arcaica data dalla sua origine campestre, a contatto con l’autenticità dell’ospite, ottiene un potere divino e santifico. Anche qui Pasolini sembra essere molto esaustivo: lo smantellamento della società capitalistica-borghese può avvenire solo con le classi contadine e del sottoproletariato, in quanto le uniche non corrotte dai valori della classe dirigente. E’ certamente un film molto complesso a causa dei continui simbolismi e metafore e uno dei più impegnati e politicizzati della filmografia pasoliniana. Ma a parte la sublime sceneggiatura e le numerose riflessioni che offre, il film è ricco di immagini pittoriche accompagnate dalle splendide musiche del maestro Ennio Morricone. Un capolavoro del cinema italiano, da vedere e rivedere per coglierne l’essenza e comprenderne ogni sfumatura.