#InSala A Complete Unknown è fresco di ben otto candidature per la prossima 97esima notte degli Oscar, che come ogni anno si terrà al Dolby Theatre di Los Angeles (in Italia la potremmo seguire nella notte tra domenica 2 marzo e lunedì 3 marzo). Come annunciato dall'Academy of Motion Picture Arts & Sciences, a causa degli incendi che hanno devastato Los Angeles, gli Oscar 2025 non saranno più una festa ma una commemorazione, una sorta di serata di beneficienza per raccogliere fondi per la città di Los Angeles. Le cose dunque saranno un po' diverse dal solito, ad esempio non ci sarà l'esibizione dal vivo delle canzoni candidate all'Oscar per la miglior canzone originale, ed è davvero un peccato perché magari avremmo potuto ascoltare l’esecuzione di almeno uno dei brani presenti nella soundtrack del film uscito nelle sale italiane il 23 gennaio 2025. Il biopic su Bob Dylan è diretto James Mangold, che dopo Walk the Line, basato sulla storia del giovane cantante Johnny Cash, ritorna a confrontarsi con un’altra icona della musica americana, cercando di raccontare il mito del menestrello del Midwest, senza decostruirlo mai veramente,ma con la bravura di custodirne e non tradirne l’essenza. Quest’esperimento riesce nel pieno compimento soprattuttograzie alla strepitosa performance attoriale e musicale diTimothée Chalamet. Nel film spiccano inoltre le interpretazioni di Elle Fanning nei panni di Suze Rotolo che dona grazia e malinconia al ruolo della musa tradita,Monica Barbaro è Joan Baez nella tempestosa relazione con il menestrello, mentre Edward Norton, nel ruolo di Albert Grossman, manager di Dylan, tratteggia con sottile ambiguità il rapporto tra arte e industria musicale, tra purezza e denaro. Dallo schermo non emerge (come nel film del 2007 Io Non Sono Qui diretto da Todd Haynes) né il processo artistico, né l’ascesa e la discesa del giovane cantautore folk, trasformatosi poi in folk-rock con annesse mille controversie del pubblico. Sì, durante la visione vedremo le canzoni nascere, arrangiarsi e suonate da sé, senza un reale valore creativo, senza ispirazioni tangibili (se non peralcune rarissime eccezioni). Ma probabilmente quella di mettere lo spettatore in balìa degli eventi e basta, è un’esperienza ricercata dall’autore e dalla produzione (Disney). “Duecento persone in quella stanza, e ognuna vorrebbe che fossi diverso, e invece io voglio essere così: come qualunque cosa non vogliono che io sia.” La struttura della pellicola è focalizzata nella rappresentazione del passaggio di Dylan dal folk tradizionale al rock elettrico, un momento epocale che non fu solo una svolta musicale, ma il vero e proprio terremoto culturale a metà degli anni ’60 (assieme ai Beatles), da cuiil pubblico in sala verrà rapito, immergendosi in un’atmosfera lontana ormai quasi settant’anni, grazie al classicismo e all’innovazione che ha da sempre contraddistinto la macchina da presa di Mangold. Mentre la straordinaria bravura e sensibilità di Timothée Chalametfarà empatizzare tutta la fame, il dolore e la confusione del giovane menestrello, che comincerà a fare i conti con la paranoica notorietà e quella libertà artistica di cui alla fine ogni musicista prima o poi viene privato (almeno nell’intenzione), scontrandosi con casa discografica e fan.Bob Dylan poi nella sua lunghissima carriera farà sempre ciò che vorrà, caratterizzato e spinto da quell’antipatiaapparente, nient’altro che maschera di un grido silenzioso per un’immensa e profonda fragilità d’animo. Nel film tutto ciò è servito e appetibile, Timothée lo incarna a menadito, attraversando gli stati d’animo dell’artista, cantando esuonando chitarra, piano e armonica “tale e quale” alla realtà, rendendo l’ascolto in alcuni attimi commovente. “La gente mi chiede da dove vengono le mie canzoni, ma vuole solo sapere perché non le hanno scritto loro.” In A Complete Unknow, Bob Dylan, quindi lo vediamo e basta, non ci viene raccontato e spiegato, per alcuni fan questo potrebbe essere visto come un grande difetto di sceneggiatura, ma forse il pregio della messa in scena sta proprio in quello spazio sottile fra ciò che vuole il pubblico e ciò che si vuol trasmettere dal principio, e, se appunto è vero che i film sono realizzati su più piani e vanno interpretati allo stesso modo, possiamo dire che rispetto a quello della superficie, c’è un punto di vista visivo nel quale il regista abbraccia una fotografia granulosa e satura, che richiama le immagini dell’epoca senza mai risultare artificiosa, mettendoci su una macchina del tempo per mostrarci la nascita di uno dei più grandi di sempre, quando era solamente “un completo sconosciuto”. In un piano più inferiore, invece, Mangold affronta il tema dell’identità, di un Dylan enigmatico, mutevole che sfugge a ogni tentativo di definizione. D’altronde una delle frasi più iconiche dell’artista Premio Nobel (conferitogli nel 2016 per aver creato una nuova poetica espressiva all'interno della grande tradizione canora americana) era “etichettare è anche limitare”. Nel 2025 risale quindi la febbre degli anni ’60, assaporati inun’America che si sbatte socialmente per i propri diritti e per le guerre, e che culturalmente è ammaliata dalla nuova Hollywood e dai fantasmi dell’Europa (vedi la moda dei Beatles citata anche da uno dei personaggi), ma vista anche nei suoi splendidi scenari, motociclette e look iconici; torna il folk, il country e il rock, “The Times They Are A-Changin' - I tempi stanno per cambiare”, cantava Dylan e canta nuovamente Timothée, nei panni di un completo sconosciuto tutto da vivere e apprezzare nel suo massimo splendore: poeta maledetto, inquieto e ribelle qual è stato. Probabilmente, la più grande penna della musica contemporanea, che ha ispirato intere generazioni di donne, uomini, genitori e figli, a riflettere sui temi più complessi del mondo contemporaneo e a sentirsi liberi di esprimere se stessi, nell’arte, nel lavoro e nella vita, ma senza la troppa frenesia di scardinare alcuni dubbi e perplessità, tanto oggi come ieri (e come sarà sicuramente domani): Le risposte le porta via il vento.
di Nicola Bartucca