SCHERMI MAGAZINE

CONTATTACI
SOCIAL
E-MAIL

Italia


instagram

schermimagazine@libero.it

SCHERMI MAGAZINE

© Schermi Magazine

Oscar 2025

2025-03-03 12:23

Array() no author 82619

Articoli,

Oscar 2025

di Lorenzo Dagradi

Si è conclusa la scorsa notte a Los Angeles l’awards season 2025, un’edizione scintillante, per alcuni carente di contenuti, ma senza dubbio tra le più controverse.



A dominare il dibattito non sono stati tanto i film, quanto le polemiche che li hanno accompagnati, un aspetto che di per sé meriterebbe più di una riflessione.



Il grande trionfatore della serata è Anora, che si aggiudica cinque premi su sei nomination. Il vero protagonista è Sean Baker, che porta a casa ben quattro riconoscimenti personali: miglior sceneggiatura originale, regia, montaggio e, soprattutto, miglior film, stabilendo un record per il maggior numero di vittorie in una sola serata per un singolo autore con lo stesso film.



Ad Anora va anche il premio per la miglior attrice protagonista, assegnato alla giovanissima Mikey Madison alla sua prima candidatura. Con la sua intensa interpretazione di una spogliarellista di Brooklyn alle prese con una turbolenta e disfunzionale storia d’amore con il figlio di un oligarca russo, l’attrice ha conquistato l’Academy e ribaltato ogni pronostico.



Anche in questo caso sembra valere il detto “tra i due litiganti il terzo gode”. In gara c’erano infatti anche Emilia Pérez – il grande sconfitto di questa edizione – e The Brutalist, forti rispettivamente di tredici e dieci nomination.



Entrambi i film sono stati al centro di accese polemiche per ragioni diverse. Emilia Pérez, in particolare, ha visto la sua corsa ai premi compromessa dopo la riemersione di alcuni vecchi tweet controversi della sua protagonista, Karla Sofía Gascón, la prima donna transgender nella storia a ricevere una candidatura come miglior attrice protagonista. Le critiche nei confronti dell’attrice si sono abbattute sull’intero film, che da favorito, dopo il trionfo ai Golden Globe, è scivolato inesorabilmente nell’anonimato.



Oltre alla tempesta mediatica su Gascón, a pesare sul film sono state anche le critiche della comunità sudamericana, che ha contestato l’assenza di attori messicani nel cast principale. Così, nonostante una campagna promozionale da oltre cinquanta milioni di dollari, il film ha subito un doppio danno, reputazionale ed economico. Alla fine, Emilia Pérez si è dovuto accontentare di due premi – miglior attrice non protagonista per Zoe Saldana e miglior canzone originale per El mal – categorie in cui la vittoria era già quasi scontata, limitandosi a salvare il salvabile per evitare un disastro ancora maggiore.



L’occasione per fare la storia era concreta, le potenzialità enormi, ma la gestione degli eventi è stata tutt’altro che impeccabile. Resta una domanda: se al posto di Karla Sofía Gascón ci fosse stata un’altra attrice, l’esito sarebbe stato diverso? O è stata anche la sua identità a rendere il film un bersaglio? Difficile dirlo. Quel che è certo è che il terreno era già fertile per la polemica, e il film ne ha pagato il prezzo più alto.



Va comunque meglio a The Brutalist, che riesce a conquistare tre premi: miglior fotografia, miglior colonna sonora e miglior attore protagonista per Adrien Brody. L'attore ha convinto l'Academy con la sua interpretazione di un brillante architetto ebreo-ungherese in cerca di una nuova vita negli Stati Uniti, in un racconto che esplora il potere dell’ossessione.



Anche questo film, però, non è stato esente da polemiche. A far discutere sono state le dichiarazioni di alcuni addetti ai lavori, secondo cui l'accento ungherese di Brody sarebbe stato in parte ricreato con l’uso dell’intelligenza artificiale, sollevando dubbi sull’autenticità della performance.



Nonostante le controversie, Brody – già dato per favorito nella sua categoria – è riuscito a trionfare, portando a casa la sua seconda statuetta in carriera.



Con Emilia Pérez e The Brutalist inizialmente favoriti, alla fine è stato Anora a emergere come l’opzione migliore. Ogni anno sembra sempre più evidente che l’Academy scelga una causa da sostenere – dalla comunità sorda con CODA (Oscar 2022) alle minoranze etniche con Green Book (Oscar 2019), fino al trionfo del cinema asiatico con Parasite (Oscar 2020). Quest'anno l’omaggio è andato al cinema indipendente, rendendo il premio sempre più un riflesso di dinamiche politiche e culturali.



Partito quasi in sordina dopo la Palma d’Oro a Cannes, Anora ha conquistato tutti con la sua autenticità e il suo spirito fuori dagli schemi tradizionali. Probabilmente, a spianare la strada alla commedia di Sean Baker è stata anche la relativa assenza di polemiche significative – fatta eccezione per il dibattito sulla mancata presenza di un intimacy coordinator sul set.



In ogni caso, il suo trionfo, pur inatteso fino a qualche mese fa, appare più che meritato.



Dune – Parte 2 e Wicked portano a casa due premi ciascuno nelle categorie tecniche: il primo si aggiudica miglior suono ed effetti speciali, mentre il secondo trionfa per migliori costumi e scenografia. Nessuna sorpresa neanche per Conclave, che si aggiudica il premio per la miglior sceneggiatura non originale, in un momento in cui le precarie condizioni di salute del pontefice rendono il film particolarmente attuale.



Meno fortunato The Substance, che si deve accontentare del riconoscimento per miglior trucco e acconciatura. Nonostante il clamore mediatico, il body horror di Coralie Fargeat non è riuscito a imporsi, e la sua protagonista, Demi Moore, ha mancato il premio per la miglior attrice, andato invece a Mikey Madison. Una conferma ulteriore del fatto che l’Academy continui a essere restia, se non del tutto contraria, a premiare il genere horror, per quanto acclamato.



L’altro grande sconfitto della serata è A Complete Unknown. Il film sull’ascesa musicale di Bob Dylan, pur partendo con otto nomination, non ha conquistato alcun premio, restando a bocca asciutta, forse ingiustamente.



La serata ha segnato però due importanti prime volte per il cinema internazionale. Il Brasile celebra la sua prima vittoria come miglior film internazionale con Io sono ancora qui di Walter Salles, mentre la Lettonia entra nella storia con Flow – Un mondo da salvare, che trionfa come miglior film d’animazione, superando le grandi major statunitensi e diventando il primo film lettone a vincere un Oscar.



La rappresentanza italiana agli Oscar di quest’anno è stata affidata a Isabella Rossellini, in corsa per il premio come miglior attrice non protagonista per Conclave, statuetta poi assegnata a Zoe Saldana per Emilia Pérez.



Ma al di là delle candidature, non sono mancate le note di colore che hanno reso la serata ancora più speciale. Alba Rohrwacher ha calcato il palco in veste di presentatrice per una notte, annunciando il premio per la miglior fotografia. Isabella Rossellini, invece, ha affascinato il pubblico con il suo omaggio al cinema del passato: sul red carpet, avvolta in un elegante abito di velluto blu – un chiaro tributo a David Lynch – e impreziosita con gli orecchini appartenuti a sua madre, Ingrid Bergman, ha intrecciato un filo rosso tra le icone di ieri e quelle di oggi.



Alla fine, anche questa edizione degli Oscar è giunta al termine. Come sempre, c’è chi esulta e chi resta deluso, ma in un mondo così turbolento, il fatto che si continui ancora a discutere di buon cinema è un segnale che, forse, le cose possono davvero andare meglio di quanto sembrino.




CONTATTACI
SOCIAL
E-MAIL

Italia


instagram

schermimagazine@libero.it

© Schermi Magazine