#InSala Nel futuro di Mickey 17, la fantascienza non si accontenta più di mettere l'umanità davanti allo specchio: ora la clona, la sdoppia, la moltiplica. Bong Joon-ho torna con un film che prende la premessa di Mickey7, il romanzo di Edward Ashton, e la trasforma in una delle sue giostre iperboliche: satira, denuncia sociale e delirio visivo convivono in un’epopea che rilegge il mito del sacrificio in una società dove persino la morte è diventata routine. Robert Pattinson è Mickey, l’expendable, l’uomo usa e getta: un clone destinato a morire in loop, salvo poi essere rimpiazzato dalla sua copia successiva con la stessa coscienza ma un corpo nuovo di zecca. La catena di montaggio dell’identità si inceppa quando Mickey 17 sopravvive, scoprendo che Mickey 18 è già stato attivato. Due identici non possono coesistere, ma quando mai l’identico è davvero tale? La storia si trasforma allora in un thriller esistenziale. Ma farà anche molto ridere! Un gioco del gatto e del topo in cui la posta in palio è l’autodeterminazione. Chi merita di esistere? Il primo arrivato o chi si dimostra più utile? Bong trasforma il concetto del doppio in una metafora che ci riguarda tutti. Viviamo già sdoppiati, tra avatar e profili digitali, tra chi siamo nella realtà e chi siamo online, tra la faccia che mostriamo al mondo e quella che nascondiamo dietro lo schermo. Mickey è l’emblema di questa schizofrenia contemporanea, un’identità continuamente aggiornata, precarizzata, sacrificabile. E come in ogni distopia che si rispetti, dietro l’apparente progresso si nasconde una struttura di potere spietata. Qui, il volto del nuovo ordine mondiale ha le fattezze di Mark Ruffalo, un dittatore demagogico che crede di essere un visionario, ma suona più come una parodia di Donald Trump in salsa sci-fi. Il suo sogno di colonizzare Niflheim, un pianeta ghiacciato e ostile, ha l’aria di una promessa elettorale gonfiata fino all’assurdo: un nuovo mondo con le stesse vecchie disuguaglianze. Tra le ossessioni di Bong torna anche quella del razzismo, ma questa volta lo scontro non è tra classi sociali, bensì tra umani e alieni. L’umanità si riversa su un pianeta che non le appartiene e, prevedibilmente, si comporta come il peggiore degli invasori. I coloni guardano con sospetto le creature native, pronti a sterminarle o a sfruttarle senza comprenderle, in un’eco evidente di ogni colonialismo passato e presente. Chi è davvero l’alieno? Chi è il sacrificabile? Domande che Mickey 17 non smette mai di insinuare, tra un’esplosione e l’altra. Bong Joon-ho firma così la sua opera più ambiziosa e visivamente sfrenata, giocando con il blockbuster senza rinunciare al suo sguardo caustico. In un panorama sci-fi sempre più omologato, Mickey 17 ha il merito di essere strano, bizzarro e disturbante quanto basta. Ma alla fine, quando i cloni si confondono e il sistema si incrina, non resta che l’essenza, spogliata di numeri e repliche: Mickey Barnes, non un prototipo, non un ingranaggio, ma il frammento irripetibile di un’esistenza finalmente sua.
di Nicola Bartucca