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Bird di Andrea Arnold

2025-05-22 17:42

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Recensioni,

Bird di Andrea Arnold

Volare per cambiare lo sguardo di Luca Origo Andrea Arnold (nata nel 1961 a Dartford, Regno Unito) è una regista e sceneggiatrice nota per aver vinto

Volare per cambiare lo sguardo 

di Luca Origo

 

Andrea Arnold (nata nel 1961 a Dartford, Regno Unito) è una regista e sceneggiatrice nota per aver vinto l’Oscar al miglior cortometraggio con “Wasp” (2003) e successivamente per aver ottenuto il premio della Giuria al Festival di Cannes in tre partecipazioni consecutive: “Red Road” nel 2006, “Fish Tank” nel 2009 e “American Honey” nel 2016. Lo stesso concorso ha riabbracciato Arnold selezionando il suo quinto lungometraggio “Bird” (2024), che arriva adesso nelle sale italiane dopo quasi un anno dal suo debutto sulla Croisette.

 

Nell’ultimo ventennio, Arnold si è dimostrata una grande osservatrice delle realtà più marginali della società britannica tanto che il suo stile è sempre stato associato alla tradizione del “social-realism”. Visto in quest’ottica, “Bird” è forse il suo film più sperimentale grazie alla fusione con l’elemento fantastico. La dimensione poetica di questa pellicola è accentuata dalla sua fotografia, diretta dall’irlandese Robbie Ryan fedele collaboratore di Arnold oltre che dell’ultimo Ken Loach (altro grande regista contemporaneo legato al “social-realism”) e dell’ultimo Yorgos Lanthimos.

 

“Bird” apre uno scorcio nella vita di Bailey (interpretata dall’esordiente Nykiya Adams), una dodicenne che vive con il padre Bug e il fratellastro Hunter in una palazzina abbandonata nel Kent settentrionale (contea di provenienza della stessa Arnold). La conoscenza del solitario Bird stravolgerà l’oscillante quotidianità della ragazza e, anche se i due saranno compagni di viaggio per una finestra di pochi giorni, il suo passaggio lascerà un segno indelebile.

 

Forte del suo nome, Bird sembra destinato a riuscire dove Bug (dall’inglese traducibile con “insetto”) continua a fallire: dare una speranza a Bailey e farle metaforicamente spiccare il volo. Eppure entrambi i personaggi falliscono nell’incarnare la classica figura adulta del mentore. Se il padre (interpretato da Barry Keoghan) si mostra egoista, impulsivo e costantemente immerso nei suoi sogni, l’estraneo (interpretato da Franz Rogowski) ricorda un Peter Pan rotto, disorientato e alla disperata ricerca del proprio passato.

 

Lo scambio di responsabilità, e quindi di ruolo, tra figli e genitori è un tema molto forte in questo film. Dove le figure di riferimento sono imperfette e il più delle volte assenti, gli adolescenti si ritrovano a gestire in autonomia situazioni delicate con i mezzi a propria disposizione. A questo proposito, è interessante notare la centralità di oggetti quali il monopattino elettrico e lo smartphone (protagonista anche come macchina da presa in varie sequenze), simboli contemporanei di una precoce indipendenza.

 

Il binomio generazionale in “Bird” è approfondito anche grazie alla colonna sonora che risulta un piacevole excursus del pop rock britannico/irlandese degli ultimi trent’anni. I Blur, i Verve e i primissimi Coldplay sono utilizzati saggiamente per richiamare le promesse tradite di una generazione alla deriva che allo stesso tempo non vuole smettere di sognare. In modo diverso, il suono street dei Fontaines D.C. di Gemma Dunleavy, tra gli altri, restituisce alla perfezione la voce di una nuova generazione che, emergendo, ricerca una propria identità.

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